Alla Biennale Architettura 2025 l’Uruguay fa dell’acqua il cuore della riflessione architettonica e politica. “53,86% Uruguay, país agua” è un viaggio sensoriale e concettuale che sfida i paradigmi urbani e ambientali, firmato dallo studio Sei Fong. Tra provocazione estetica e impegno ecologico, il piccolo Paese sudamericano si impone nel grande dibattito globale.

Acque profonde
Che l’Uruguay sia piccolo solo sulla carta geografica è cosa nota a chiunque mastichi un po’ di geopolitica, calcio o candombe. Ma alla Biennale Architettura 2025, il Paese latinoamericano mette in mostra qualcosa di ancora più vasto: la sua anima idrica. “53,86% Uruguay, país agua” è il titolo del progetto curato dallo studio Sei Fong, un’installazione multisensoriale che trasforma il Padiglione Uruguay in un manifesto liquido e vibrante, dove l’acqua è protagonista assoluta.
L’Uruguay è letteralmente un Paese d’acqua: tra oceano, fiumi, lagune e falde sotterranee, oltre metà del suo territorio è definita da bacini idrografici. E se nel dibattito internazionale l’acqua è spesso tema tecnico o ambientale, qui diventa gesto politico e culturale. Come dire: se il futuro sarà fluido, tanto vale iniziare a navigarlo.
Un padiglione immersivo
La curatela di Katia, Ken e Luis Sei Fong — architetti, designer e artisti di tre generazioni — non si limita a “rappresentare” l’Uruguay, ma lo reinventa, proponendo una visione dove città e paesaggi dialogano con i cicli dell’acqua anziché combatterli. Il padiglione è concepito come un’esperienza immersiva, che sfuma i confini tra arte, architettura e attivismo ambientale. Qui non si parla solo di progettazione urbana, ma di un nuovo modello di coesistenza. “53,86%” non è una cifra casuale, ma una presa di posizione: quel numero rappresenta la percentuale di territorio uruguaiano coperto da bacini idrografici. L’acqua, insomma, è già ovunque: il problema non è la sua assenza, ma il nostro modo miope di ignorarla.

Identità e sfida
Martín Craciun, commissario della mostra e coordinatore dell’Istituto Nazionale di Arti Visive, lo dice chiaramente: la partecipazione dell’Uruguay alla Biennale è “uno spazio in cui pratica e riflessione coesistono”, un’occasione per “alimentare una produzione architettonica che risponda alle sfide contemporanee”.
Nel suo intervento, Craciun non nasconde l’ambizione politica del progetto: essere presenti con qualità in uno dei contesti culturali più prestigiosi al mondo significa riaffermare una visione dell’architettura come disciplina etica e collettiva, capace di affrontare crisi climatiche, disuguaglianze e trasformazioni urbane non con retorica, ma con proposte concrete e immaginazione radicale.
Il padiglione, secondo Craciun, è un dispositivo critico: non solo rappresenta il Paese, ma lo interroga e lo proietta nel mondo. E lo fa partendo dall’acqua, elemento primario e futuro comune.
Architettura, design e sudamerica poetico
Nel contesto della Biennale — diretta quest’anno da Carlo Ratti, con il titolo Intelligens. Naturale. Artificiale. Collective. — il padiglione uruguaiano si inserisce come un intervento che sfida l’inerzia del pensiero urbanistico occidentale. In un’epoca dove le città si prosciugano di senso e biodiversità, il progetto di Sei Fong invita a costruire in accordo con le maree, le piogge e i fiumi.
È slow design? È architettura relazionale? È geo-poesia sudamericana? Forse è tutto questo insieme, condito da una buona dose di ironia e provocazione. La “ristrutturazione territoriale dell’Uruguay basata sui suoi bacini idrografici” non è solo una proposta teorica, ma una piccola rivoluzione idraulica nel modo di pensare i confini — urbani, nazionali, simbolici.

Pensiero architettonico tra la Laguna e il Río de la Plata
L’Uruguay è uno dei pochissimi Paesi latinoamericani con un padiglione di proprietà ai Giardini della Biennale. Una presenza piccola ma stabile, che resiste dal 1960 come un piccolo porto culturale sul Canal Grande. E oggi, più che mai, quella posizione diventa politica: in tempi in cui l’acqua è emergenza e merce, il progetto “país agua” ci costringe a rivedere tutto, dal modo in cui costruiamo le città a come consideriamo le nostre relazioni ecologiche.
Mentre i padiglioni dei grandi Paesi giocano la carta dell’iper-tecnologia o della nostalgia estetica, l’Uruguay arriva con un’installazione che sa di terra bagnata e pensiero fluido. Perché, come ci ricordano gli stessi curatori, “non esiste modernità che tenga se non parte dal rispetto dei ritmi naturali”.
Alla fine, tutto scorre
“53,86% Uruguay, país agua” è una dichiarazione, un invito a lasciarsi attraversare dal cambiamento. Non c’è moralismo, ma visione. Non c’è distopia, ma progettualità. In fondo, cosa può esserci di più universale dell’acqua?
Chi visiterà il padiglione uruguaiano alla Biennale potrebbe uscirne con i piedi bagnati (metaforicamente), ma con la testa piena di domande necessarie. E questo è esattamente il tipo di bellezza che ci piace raccontare.
Perché in un mondo che brucia, serve sapere anche dove piove.
Cover foto: Uruguay pais agua/ perspectiva diagonal /image by SEI FONG Studio