Caffè cultura

In Italia beviamo un caffè tremendo?

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Dal regno dei bar visitati a colazione, al regno dei fine dining – che siano servite pastarelle o piatti stellati – c’è un piccolo grande mistero che ci attanaglia: perché il caffè espresso italiano è spesso un disastro? Tra falsi miti, attrezzature trascurate e baristi improvvisati, sveliamo tutto quello che (non) vorresti sapere sulla tazzina più sopravvalutata del nostro Belpaese e tutto quello che potremmo fare per renderla, finalmente, memorabile.

L’amaro in fondo

Siamo in Italia, patria dell’espresso, dove il caffè è più sacro di una messa domenicale. Eppure ovunque, che siano bar, trattorie o ristoranti di alta cucina, il caffè continua a essere il grande assente nel racconto dell’eccellenza. Non assente fisicamente, è ovvio, ma assente di qualità, cura, rispetto. Quello che ti arriva al banco o al tavolo è spesso un espresso triste, bruciato, servito in una tazzina tiepida da qualcuno che non sembra sapere bene da che parte si impugna il portafiltro. Prendi la nazione più permalosa del mondo in fatto di caffè e servile regolarmente una schifezza: il paradosso è servito.

La sindrome dell’ultima tazzina

Secondo Giovanni Corsini, titolare della torrefazione artigianale Agust e voce autorevole nel settore, la questione è culturale, oltre che tecnica.

“È assurdo che l’ultimo sapore lasciato in bocca da un ristorante stellato sia un caffè imbevibile. È come se un’orchestra sinfonica chiudesse un concerto con un colpo di triangolo stonato”.

Eppure accade. Perché?

Le motivazioni sono tante, ma si possono riassumere in una parola: disattenzione. Disattenzione verso la materia prima, verso l’attrezzatura, verso la persona che dovrebbe prepararlo. Ma anche verso il cliente, che in quel momento finale ha ancora il palato (e il cuore) aperto.

Secondo Corsini ci sono tre falsi miti da sfatare, per iniziare a ragionare di buon caffè.

Il caffè aperto perde qualità? Esagerati!

Falso mito numero uno: non è un’esagerazione ma una verità da incorniciare. Corsini lo conferma: una volta aperta la confezione, il caffè inizia a decadere come un avocado dimenticato nel frigo. Tra ossigeno, umidità, luce e calore, la freschezza dell’aroma se ne va più velocemente di un influencer che perde follower su TikTok. La soluzione, dice Corsini, è nella logistica: confezioni piccole (250 grammi) al posto del classico chilo “da battaglia”, così da garantire freschezza costante.

I primi 10 caffè del giorno sono imbevibili

Falso mito numero due ma ancora un evergreen tra i baristi e i ristoratori. Un tempo il problema era reale, soprattutto per colpa di strumentazione obsoleta e scarsa pulizia. Ma oggi esistono materiali e tecnologie che permettono di ottenere immediatamente un espresso perfetto. Il segreto? Acciaio al posto dell’ottone per i portafiltri (più facili da pulire) e macinacaffè con bilancia incorporata, che dosano alla perfezione la quantità di caffè erogata. Il risultato è un caffè buono e costante, fin dall’apertura. Il vero nemico, quindi, non è l’orario ma l’approssimazione.

Salone del Libro 2025

Serve un barista stellato per un caffè decente

Falso mito numero tre che, tuttavia, nasconde una verità scomoda: la mancanza di formazione. Non serve un barista da campionato mondiale per servire un buon espresso, ma serve qualcuno che sappia cosa sta facendo. Corsini lo dice chiaramente: “Non basta avere un ottimo caffè o macchine all’avanguardia. Serve chi sappia usarli”. La buona notizia? Oggi formarsi è più semplice. La stessa Agust, ad esempio, offre corsi specifici per il personale dei ristoranti attraverso la sua Academy. Perché il caffè non si fa da solo, esattamente come la reputazione di un locale.

Non bisogna infatti mai dimenticare che un ristoratore è, per prima cosa, un imprenditore. Difficile immaginare, salvo rarissimi casi, un membro dello staff unicamente dedito alla preparazione e al servizio del caffè. “Le persone che si occupano della preparazione del caffè – aggiunge Massimiliano Mascia, del ristorante San Domenico di Imola e membro dell’associazione JRE Italia – possono essere diverse. Ecco perché la formazione diventa fondamentale”.

Il caffè in Italia fa schifo?

A usare il megafono in questa discussione è Valentina Palange, content creator e fondatrice del profilo Specialtypal, che con il suo saggio dal titolo (non esattamente diplomatico) “Il caffè in Italia fa schifo” fotografa in maniera impietosa lo stato desolante della cultura del caffè nel nostro Belpaese.

Il libro, presentato al Salone del Libro di Torino 2025, è una denuncia lucida e appassionata. Palange parla di filiere opache, ignoranza diffusa, baristi sottopagati e tradizioni tossiche che hanno trasformato la nostra tazzina nazionale in un feticcio svuotato di significato.

“È tempo di smettere di dare rilevanza a chi usa il potere per comprare baristi e titolari di caffetterie, approfittandosi dell’ignoranza diffusa. È tempo di pensiero critico.”

Il caffè in Italia fa schifo. Un viaggio tra consapevolezza, falsi miti e crudeli verità.
Di Valentina Palange. Lo trovi su Amazon.

Come dice Palange, il caffè è anche un fatto culturale: una questione di rispetto per il prodotto, per chi lo coltiva, per chi lo serve e per chi lo beve. È il finale di un racconto e – come in ogni buon romanzo – è l’ultima pagina a determinare il ricordo dell’intera storia.

La cultura del caffè in Italia non ha bisogno di musei o monumenti: ha bisogno di cura, consapevolezza e conoscenza e, magari, anche di un po’ di ironia. Perché se è vero che “il caffè fa schifo”, è anche vero che possiamo fare molto per cambiarlo senza impuntarci come dei muli in difesa di una tazzina italiana, spesso indifendibile.

Espresso sì, ma non di fretta

Ci sono chef che studiano la consistenza di un gambero per anni ma poi chiudono il pasto con un caffè stanco, servito da un cameriere che ha l’espressione di chi ha inserito il pilota automatico. È tempo di cambiare narrativa.

Basta poco, come dicono Corsini e Palange: un macinacaffè con la bilancia, una confezione più piccola, un portafiltro pulito, una mezz’ora di formazione. E, soprattutto, un pizzico di amore per quella piccola tazzina che, anche quando è l’ultima della serata, può fare tutta la differenza del mondo, perché un ristorante giustamente orgoglioso del proprio caffè, ama i propri clienti.

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