Mircea Masserini intervista Federica Fabrizio Federippi, la giovane autrice di Femminucce, sulle battaglie del nuovo femminismo a partire dalla battaglia agli stereotipi di genere.
Fino a non molto tempo fa (a pensarci bene è già trascorso qualche lustro ma sorvoliamo su tale percezione distorta degli anni che passano) mi garbava assai quando qualcuno si rivolgeva a me dandomi della signorina. In qualche modo gratificava il mio desiderio di sentirmi perbenino.
Poi ho scoperto – con grande probabilità nel corso della lettura di qualche saggio dell’Accademia della Crusca – che era sessista poiché implicava un binomio tra rispettabilità e verginità, questione invece che mi ha sempre dato molto fastidio. Il rapporto tra lingua – intesa proprio come grammatica – ed evoluzione culturale mi ha appassionata solo in anni recenti e sento di aver dato per scontato cose che tanto scontate non sono.
Ad esempio, per anni ho dato per scontato che fosse di pubblico dominio quali fossero le grandi femministe della Storia, un po’ come i Sette re di Roma, per capire poi che così non è e che c’è necessità – ora più che mai – di divulgare i loro nomi, cognomi, soprannomi, gesta opere e missioni. E, soprattutto, di smetterla di dare delle femminucce – in inglese pussy, perché il patriarcato è internazionale – a qualcuno perennemente votato al piagnisteo dal momento che, ad essere femmine, ci vogliono le gonadi.
Federica Fabrizio ha dedicato un intero libro alla questione.
M.M: Matera, la tua città, è un luogo di fermento culturale?
F.F.: Ma sai, mi sto muovendo con il movimento “Non Una di Meno” – qui appena nato – perché spesso i collettivi universitari ci invitano per fare formazione all’interno delle assemblee. Come realtà siamo molto nuove qui e stiamo cercando di dare vita a quante più relazioni positive possibile, ad esempio una giornata per il “Pride” ma anche altre mille cose e progetti!
M.M.: Ricordo di aver visto un cortometraggio dal titolo “Stand by me” nel quale invece si ironizzava rispetto al tentativo dell’Amministrazione locale di ripopolare l’area defiscalizzando le sepolture e di attivare un piano di edilizia di lusso nel settore!
F.F.: Noi non siamo territori addormentati, siamo semmai marginali ma è proprio ai margini che risulta forse più facile riunirsi e affermare in qualche modo il proprio desiderio di cambiare le cose. Ma non siamo sole; sul territorio sono tantissime le realtà che cercano, ad esempio di resistere alle logiche del turismo di massa, dal momento che Matera ora è presa d’assalto, come Firenze e Venezia. Cerchiamo di riprenderci gli spazi della nostra città per renderli sicuri ed attraversabili. Li rendiamo a misura di turista ma non a misura di chi ci risiede, e devo dire il territorio risponde positivamente, era necessario solo catalizzarli. Posso dire che è il mio più grande desiderio è che tutto diventi femminista.
M.M.: Come sei arrivata a questa definizione di te stessa, così giovane e dunque così lontana dalle lotte delle femministe degli anni ’60 e ’70?
F.F.: Credo nei corsi e ricorsi storici. Dopo la grande stagione delle conquiste, forse si è pensato che non fosse più necessario alzare la testa oppure che certi diritti si potessero dare per assodati e quindi le battaglie si sono un po’ raffreddate. I tempi moderni ci insegnano che così non è e che la nuova rabbia scaturisce dal desiderio di non voler più ragionare per compromessi. La Legge194 ne è un esempio: è stato difficilissima scriverla e farla approvare ma nasce – appunto – da un compromesso politico e il fatto che lasci dei vuoti nella sua applicazione è la dimostrazione di quanto sto dicendo. Questi coni d’ombra hanno permesso agli anti-abortisti di eroderla dall’interno e dunque di renderla inefficace o inapplicabile. Se pensi alla Basilicata, c’è l’88% degli obiettori di coscienza tra medici e personale sanitario. La nuova rabbia nasce anche da questo, dal fatto che è un diritto se te lo puoi permettere (ad esempio di recarti in un’altra regione). È importante che il diritto sia garantito in tutti gli spazi pubblici. Ma questo apre una voragine di cui parlare che è la sanità pubblica in Italia.
M.M.: Nel tuo libro torni su figure importanti del femminismo italiano, che sono sempre un po’ sante e martiri a parte Raffaella Carrà. Esiste una femminista allegra?
F.F.: Tantissime donne sono state femministe senza dirlo, la Carrà è una. Negli anni si sono inserite in spazi tipicamente o esclusivamente maschili ma tenendosi lontane dalle dichiarazioni, senza la pretesa di farli diventare casi politici ma che poi, politici, sono diventati. Hanno insegnato alle altre donne che c’era un’alternativa. Si sono mosse tra le pieghe di un sistema che le voleva conformi e l’hanno modificato dall’interno. Hanno rotto l’ingranaggio. Contemporaneamente, però, ci sono state anche le altre, le cosiddette femministe arrabbiate, che hanno lottato in maniera tale da ottenere qualcosa, che hanno dovuto fare paura. Servono entrambe le cose: sia il personaggio pop che ti faccia ragionare su un concetto complesso con un sorriso, sia la lotta dura e senza paura per unire le forze e per sottolineare che non va tutto bene: la polizia in tenuta anti-sommossa alle ultime proteste dimostra evidentemente che al sistema la nostra icazzatura fa paura.
M.M.: Questo ti spaventa?
F.F.: Sinceramente no, avrò molta più paura quando smetteranno di farlo, perché se ci temono così tanto è perché sanno che abbiamo ragione e che le rivendicazioni sono una questione reale e non solo ideale.
M.M.: Sempre relativamente alla questione femminista, chi altri a tuo avviso, può illuminare la via? Con un sorriso?
F.F.: Lo fa in modo leggero e potente Paola Cortellesi che, senza mai dichiararsi femminista, ha fatto un film bomba. Diciamo sotto copertura ha scardinato un portone. Con quella scena magistrale in cui la figlia le porta la lettera, e tutti pensano sia una lettera d’amore, ma è la tessera elettorale: l’amore per la Cosa Pubblica. Ma anche il monologo di Teresa Mannino a Sanremo. Sono grata che esistano questi personaggi che riescono a rompere gli ingranaggi e anche invece a quelle che con un linguaggio diverso resistono, gridano e protestano e rivendicano ciò che spetta loro.
M.M.: Ti sei stupita che abbiano pubblicato un libro come Femminucce?
F.F: A differenza di altri scrivere non è mai stato il mio sogno da bambina. Ho cercato di includere la mia genealogia personale nelle pagine, per ridare alla collettività ciò che la lettura mi ha insegnato. Ho trovato un’editor bravissima, che ha studiato con me le vite di queste donne, e sono stata sempre sostenuta. Mi dicevano “scrivi quello che vuoi scrivere”. Ho avuto attorno a me un team di persone estremamente sensibile al tema e che non mi ha mai posto barriere, di grande supporto anche nella fase delle presentazioni: festival letterari e centri occupati, mai un limite, mai una piega, sempre incoraggianti. Inoltre è stato interessante vedere come un’azienda così grande come Rizzoli riesca a inserirsi fra le pieghe della Resistenza Civile, per così dire. Hanno tantissimi autori e autrici che si occupano degli stessi temi e credo si stia sviluppando un canale aperto alla questione. Del resto, dal momento che nessuno reclama per le centinaia di titoli legati alla cucina ed agli chef che riempiono gli scaffali delle librerie, sarebbe grave che qualcuno si inalberasse per i titoli “scomodi” accusandoci di cosa, poi? Di inquinamento cartaceo?
M.M.: Una femminista accanto a Simone de Beauvoir. Ma alla fine l’hai letta?
F.F.: « Alla fine sì, è stato un parto ma ce l’ho fatta. Che poi lei non è esattamente il femminismo che io preferisco, dal momento che di declinazioni ve ne sono molte, anzi, dal punto di vista grammaticale ti ringrazierei se usassi il plurale: i femminismi.
M.M.: Cosa consigli a chi ci leggerà?
F.F.: La politica per anni è stata sinonimo di “uomo di mezza età con la cravatta”. in realtà tutto è politica, anche questa intervista; i giovani devono riappropriarsi di questa dimensione.
Federica Filippi
IG @federippi
Laureata in oftalmologia. Classe 1996.
Residente a Matera con numerose puntate a Roma
Autrice di “Femminucce”, Rizzoli 2023 (e dona 2,28€ per ogni copia venduta alle grandiose sorelle della Casa delle donne Lucha y Siesta)