Il Centro Italiano per la Fotografia presenta la mostra Robert Capa e Gerda Taro: la fotografia, l’amore, la guerra nelle sale del Centro espositivo di via delle Rosine a Torino. Fino al 2 giugno 2024.
La mostra racconta con oltre 120 fotografie uno dei momenti cruciali della storia della fotografia del XX secolo, il rapporto professionale e affettivo fra Robert Capa e Gerda Taro, tragicamente interrottosi con la morte della fotografa in Spagna nel 1937.
Un incontro a Parigi
Fuggita dalla Germania nazista lei, emigrato dall’Ungheria lui, Gerta Pohorylle ed Endre – poi francesizzato André – Friedmann (questi i loro veri nomi) si incontrano a Parigi nel 1934, e l’anno successivo si innamorano, stringendo un sodalizio artistico e sentimentale che li porta a frequentare i cafè del Quartiere Latino ma anche ad impegnarsi nella fotografia e nella lotta politica.
Due alias
In una Parigi in grande fermento, invasa da intellettuali e artisti da tutta Europa, trovare committenze è però sempre più difficile. Per cercare di allettare gli editori, è Gerta a inventarsi il personaggio di Robert Capa, un ricco e famoso fotografo americano arrivato da poco nel continente, alter ego con il quale André si identificherà per il resto della sua vita. Anche lei cambia nome e assume quello di Gerda Taro.
1936, l’anno decisivo
L’anno decisivo per entrambi è il 1936: in agosto si muovono verso la Spagna, per documentare la guerra civile in corso tra i repubblicani e fascisti; il mese dopo Robert Capa realizzerà il leggendario scatto del Miliziano colpito a morte, mentre Gerda Taro scatta la sua immagine più iconica, una miliziana in addestramento, pistola puntata e scarpe con i tacchi, in un punto di vista inedito della guerra fatta e rappresentata da donne.
Insieme a queste due icone, i fotografi realizzano tanti altri scatti, che testimoniano di una partecipazione intensa all’evento, sia dal punto di vista del reportage di guerra, sia da quello della vita quotidiana dei soldati, delle soldatesse e della popolazione drammaticamente vittima del conflitto. La Spagna è, infatti, in quegli anni una terra che attira molti intellettuali, scrittori e registi da tutto il mondo come Ernest Hemingway, immortalato in uno scatto di Capa, che racconterà l’esperienza della guerra civile spagnola nel suo capolavoro “Per chi suona
la campana” oppure George Orwell che ne parlerà in “Omaggio alla Catalogna”.
Capa-Taro, due fotografi, una sola firma
Le loro fotografie vengono pubblicate sui maggiori giornali del tempo, da “Vu” a “Regards” a “Life”, conferendo alla coppia – che spesso firma con un’unica sigla, senza distinguere l’autore o l’autrice dello scatto – una solida fama e molte richieste di lavoro. Nel corso del 1936 e del 1937 i due si spostano tra Parigi e la Spagna, documentando ad esempio gli scioperi nella capitale francese e le elezioni del 1937, conclusesi con la vittoria del raggruppamento antifascista del Fronte Popolare. Ma anche il Convegno Internazionale degli Scrittori Antifascisti a Valencia, dove Taro fotografa personaggi come André Malraux, Ilya Ehrenburg, Tristan Tzara, Anna Seghers.
Cadere sul campo
Proprio poco dopo la vittoria del Fronte Popolare, però, durante la battaglia di Brunete, in Spagna, il 24 luglio del 1937, Gerda Taro viene involontariamente investita da un carro armato e muore, chiudendo così tragicamente la vita della prima reporter di guerra. L’anno successivo, Robert Capa darà alla luce l’epocale volume Death in the Making, dedicato alla compagna, nel quale si trovano
molte delle immagini visibili in mostra, di entrambi i fotografi.
La valigia messicana, persa e ritrovata
L’intensa stagione di fotografia, guerra e amore di questi due straordinari personaggi è narrata nella mostra di CAMERA – curata da Walter Guadagnini e Monica Poggi – attraverso le fotografie di Gerda Taro e quelle di Robert Capa, nonché dalla riproduzione di alcuni provini della celebre “valigia messicana”, contenente 4.500 negativi scattati in Spagna dai due protagonisti della mostra e dal loro amico e sodale David Seymour, detto “Chim”.
La valigia, di cui si sono perse le tracce nel 1939 – quando Capa l’ha affidata a un amico per evitare che i materiali venissero requisiti e distrutti dalle truppe tedesche – è stata ritrovata solamente a fine anni Novanta a Mexico City, permettendo di attribuire correttamente una serie di immagini di cui fino ad allora non era chiaro l’autore o l’autrice.
La mostra si apre con una sala che introduce le figure di questi straordinari autori anche grazie a due documentari, The Mexican Suitcase (2011) di Trisha Ziff e Searching for Gerda Taro (2021) di Camille Ménager, di cui sono mostrati degli estratti particolarmente utili a fornire delle lenti di lettura utilizzate anche nella scelta delle opere esposte poi nelle sale successive. Dopo le immagini realizzate da Capa a Parigi, il percorso esplora la documentazione della guerra attraverso gli spostamenti e i focus dati da Capa e Taro, concludendosi con la pagina più straziante, quella della distruzione e della morte causata dal conflitto.
Chi è Robert Capa
Robert Capa (1913, Budapest, Ungheria – 1954, Provincia di Thai-Binh, Vietnam) Nato da genitori ebrei, Endre – poi francesizzato André – Ernő Friedmann inizia il suo percorso nel mondo della fotografia a Berlino nel 1931, lavorando come assistente fotografo e fattorino per l’agenzia fotografica Dephot.
L’ascesa del regime nazista e le crescenti tensioni antisemite lo costringono a lasciare la Germania nel 1933 per stabilirsi a Parigi, dove incontra Gerta Pohorylle, in arte Gerda Taro. Insieme inventano la figura di un fotografo americano di successo, Robert Capa, alter ego con il quale André si identificherà per il resto della sua vita. Tra il 1936 e il 1939 si reca più volte in Spagna per documentare la guerra civile: è in questa occasione che Capa scatta una delle fotografie più celebri di tutti i tempi, il Miliziano colpito a morte. Quello spagnolo è il primo dei cinque conflitti che seguirà nel corso della sua carriera, realizzando reportage per alcune delle più importanti riviste dell’epoca come “Life”, “Regards”, “Picture Post”. Durante la Seconda guerra mondiale, lavora come corrispondente in Europa, partecipando a momenti cruciali del conflitto come lo sbarco delle truppe americane a Omaha Beach durante il D-Day, la liberazione di Parigi e la battaglia del Bulge. Nel 1947, fonda la prestigiosa agenzia fotografica Magnum Photos insieme a Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger, Maria
Eisner, William e Rita Vandivert. La sua carriera si interrompe tragicamente il 25 maggio 1954, quando, durante una missione fotografica per “Life” nella provincia di Thai-Binh, in Vietnam, viene ucciso da una mina antiuomo.
Chi è Gerda Taro
Gerda Taro (1910, Stoccarda, Germania – 1937, Brunete, Spagna) nata da una famiglia borghese di ebrei di discendenza polacca, Gerda Taro, all’anagrafe Gerta Pohorylle, cresce con un’educazione di alto livello e si distingue in particolare per l’abilità nell’apprendimento delle lingue. A partire dal 1929, trasferitasi a Lipsia insieme alla famiglia per ragioni economiche, frequenta alcuni esponenti del Partito
comunista tedesco, opponendosi apertamente all’ascesa al potere del nazionalsocialismo. Dopo essere stata arrestata per le sue attività di opposizione al regime, nel 1933 è costretta a lasciare la Germania e si stabilisce a Parigi, dove lavora come dattilografa e segretaria. Qui conosce il fotografo ungherese Endre Friedman, con il quale inizia un’appassionata storia d’amore. Insieme inventano il personaggio di Robert Capa, celebre reporter americano arrivato in Europa per lavorare, ottenendo grazie a questo escamotage molti più incarichi e guadagni.
Nel 1936 parte insieme a Capa per raccontare la Guerra civile spagnola, seguendo in battaglia le truppe del Fronte Popolare. Le loro fotografie, inizialmente firmate indistintamente “Capa-Taro”, vengono pubblicate dai principali periodici del periodo, come “Ce Soir”, “Life” e “Vu”. Nel 1937 il nome di Taro appare per le prime volte in autonomia e inizia a diffondersi la fama di fotografa disposta a mettere in pericolo la propria vita per il lavoro.
Nello stesso anno, dopo estenuanti giornate passate a realizzare il suo reportage più importante sulla battaglia di Brunete, muore a causa delle gravi ferite riportate durante un incidente nel quale è coinvolta.