Lady Be, al secolo Letizia Lanzarotti, è una giovane artista lombarda, conosciuta come l’artista italiana della sostenibilità. Lady Be crea eco-mosaici unici, realizzati interamente con materiali di scarto, come tappi, penne, bottoni, giocattoli e cavi, dando nuova vita a oggetti che hanno perso la loro funzione originaria. Le sue opere rappresentano icone pop, ritratti e soggetti ispirati all’ecologia, e hanno come obiettivo sensibilizzare il pubblico sul tema del riciclo.
Il lavoro di Lady Be non è solo una forma creativa, ma anche una riflessione sull’importanza di una maggiore sostenibilità in un mondo sempre più consumista. I suoi mosaici evocano ricordi legati agli oggetti usati, che, pur sembrando casuali e disordinati a una prima occhiata, assumono una forma riconoscibile e potente da lontano, sorprendendo lo spettatore.
Ogni pezzo racconta una storia e, attraverso l’arte, promuove un messaggio forte sulla necessità di ridurre i rifiuti e recuperare ciò che altrimenti sarebbe destinato alla discarica.
“Lady Be, ricicla, è un riciclare ben diverso dai Maestri della Pop Art, il riciclo viene fatto con oggetti popolari legati ai ricordi personali, oggetti di massa che tutti ben conoscono e che hanno maneggiato da piccoli o che continuano a maneggiare oggi nel ruolo di genitori, nonni o semplicemente esseri umani. Il freddo ed impersonale, si trasforma nella “Personal Pop Art”, in personale e coinvolgente, l’osservatore è spinto a toccare l’opera d’arte per cercare di catturarne i suoi segreti, la sua più intima essenza; un’arte che viene vista e rivista perché è qualcosa di conosciuto ma nello stesso tempo ancora da scoprire”. Francesco Saverio Russo
Le opere di Lady Be, infatti, vanno oltre il concetto tradizionale di arte: sono un invito a riflettere sull’impatto che il nostro stile di vita ha sull’ambiente e sulle risorse naturali. Ogni eco-mosaico è una testimonianza visiva di come il riutilizzo creativo possa trasformare materiali apparentemente inutili in capolavori.
Il suo approccio non si limita a un messaggio ecologico, ma apre anche nuove prospettive sul valore dell’arte stessa, che può essere accessibile, significativa e soprattutto rispettosa dell’ambiente. Non si tratta solo di raccontare storie, ma anche cambiare la narrazione collettiva, portando l’attenzione su tematiche cruciali come il riciclo e l’economia circolare.
Un’intervista a Lady Be
La prima domanda è quella che fanno proprio tutti: come nasce il nome d’arte Lady Be?
Il mio nome Lady Be è un’assonanza con la canzone Let It Be, ho voluto rendere omaggio ai Beatles che per gran parte della mia vita sono stati miei ispiratori. Inoltre, contrappongo il verbo “Be” essere, all’apparire, per conclamare un’arte che è “essenza” (l’essenza dei ricordi e delle memorie legate agli oggetti) e non solo “apparenza”.
Come è nata la tua passione per il riutilizzo dei materiali di scarto nell’arte e quali sono state le tue prime opere create con questa tecnica?
In un’epoca in cui esistono così tanti materiali di scarto colorati, soprattutto in plastica, per me è stato naturale inventare il Mosaico Contemporaneo.
Dal mio primissimo progetto, ho concepito l’opera d’arte come un vero e proprio “diario dei ricordi”, intesi non solo come ricordi personali ma anche come memoria collettiva, museo di un’epoca storica, destinata a rimanere nel tempo attraverso questi oggetti, materiali di poco valore, che si trovano quotidianamente nelle mani di tutti, ma proprio per questo così emblematici.
La prima opera nasce nel 2009 con la realizzazione del volto bidimensionale di Marylin Monroe ispirato a Warhol – seguito da altre icone ispirate all’arte POP – è stato concepito e composto con materiali legati alla mia vita e infanzia e a cui ho deciso di dare una seconda vita.
Ho sempre cercato di lasciare questi oggetti il più possibile inalterati, lasciandoli nel loro colore originare e mantenendo il più intatta possibile anche la loro forma, per poter evocare in ogni spettatore il ricordo di un oggetto utilizzato ogni giorno. L’involucro di un make-up, una biro da ufficio, o addirittura oggetti della propria infanzia, come le sorpresine trovate in un ovetto di cioccolato o una bambola di plastica in cui tutte le bambine, donne e ragazze si identificano da più di 50 anni, diventano davvero “oggetti iconici” certamente rafforzati dal fatto che si trovino all’interno di un soggetto non meno iconico. Un processo assolutamente esteso dal soggetto agli oggetti di plastica che lo compongono.
Le mie opere nascono con l’esplicito intento di rispecchiare un’epoca intera, l’epoca della plastica, congelandola, eternizzandola nell’opera d’arte, e soprattutto trasmettendo un messaggio di sostenibilità per il futuro.
Gli eco-mosaici che realizzi richiedono una scelta accurata dei materiali di recupero. Cosa ti ispira nella selezione degli oggetti e che significato assumono per te?
I materiali sono scelti essenzialmente in base al loro colore e più hanno colori sgargianti o sfumature particolari più li prediligo. Amo molto l’utilizzo dei giocattoli, perché a mio parere sono gli oggetti di plastica che custodiscono più ricordi e memorie anche inconsce, come quelle legate all’infanzia. Cerco, ogni volta che realizzo un’opera, di inserire oggetti il più possibile inerenti al soggetto rappresentato, ad esempio, mi capita di catalogare gli oggetti che trovo per tematiche (musica, animali, moda…) e poi di utilizzarle sulle opere per dare anche un valore aggiunto.
Nella serie delle Barbie tumefatte, realizzata per dire No alla Violenza sulle Donne, ho utilizzato molte Barbie inserendo anche i loro capelli, per evocare la moltitudine di donne che subiscono ogni giorno violenze, e per sottolineare che le violenze vanno denunciate.
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Proprio perché la mia arte riporta l’oggetto alla sua dimensione di appartenenza, la mia scelta è rappresentare l’oggetto stesso che la costituisce, ma trasformato. Per farlo scelgo molti oggetti di recupero che mi rappresentano di più, ovvero i giocattoli. Sono sempre stata affascinata da questi oggetti, e, come da bambina, crescendo non ho mai abbandonato l’amore e il culto per questi oggetti, che fossero prodotti in Cina o che fossero antichi giocattoli handmade da collezione. Non ho mai sopportato l’idea che i bambini, crescendo o semplicemente evolvendo nelle loro fasi (cosa che può capitare anche da un giorno all’altro) abbandonassero i loro giocattoli ancora integri e li considerassero spazzatura. Io non l’ho mai fatto, e molti miei giocattoli sono presenti sulle mie prime opere, perché non volevo buttarli. Questo stupore mi perseguita ogni volta che ricevo materiale da amici, conoscenti e dalle scuole, e a volte mi trovo a collezionare o a tenere da parte quegli stessi oggetti che i bambini o i loro genitori hanno scartato, buttato, dimenticato. In questa serie, voglio ridare splendore ad alcuni oggetti da me selezionati, alcuni giocattoli o sorpresine particolari, che mi affascinano, voglio che diventino il soggetto dell’opera e che parlino della condizione umana, perché tutti siamo affascinati dal “giocattolo”, è un fascino antico e a volte inquietante, che sa di soffitta e di ricordi, a volte di ferite aperte e mai rimarginate, ci riportano in una dimensione dalla quale troppo spesso ci siamo distaccati troppo in fretta, una dimensione con la quale spesso non abbiamo completamente chiuso e che a volte ci riporta in luce i timori e le ansie mai risolte della nostra infanzia.
Sei conosciuta come l’artista italiana della sostenibilità. In che modo il messaggio ecologico che trasmetti attraverso le tue opere si è evoluto nel tempo?
Ho iniziato a parlarne più di 10 anni fa, quando ancora l’argomento non era così popolare ma non per questo mi definisco, ambientalista; semplicemente cerco di fare il possibile per l’ambiente, attraverso il mio lavoro di artista; questo è – a mio parere – ciò che dovrebbero fare tutti nei piccoli gesti e attraverso la loro attività di ogni giorno, indipendentemente dalla professione svolta.
Lo si può fare anche attraverso piccoli gesti quotidiani, come dividere i tappi dalle bottiglie o raccogliere qualche rifiuto a terra durante le passeggiate. Come diceva Madre Teresa di Calcutta “Quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno.”
Oggi un essere umano non può essere insensibile a queste tematiche, non solo un artista.
Tra le tue esposizioni più recenti, c’è l’installazione interattiva sulla rosa camuna, simbolo della Regione Lombardia. Cosa rappresenta per te questa installazione e qual è stata la risposta del pubblico?
Si, era una delle opere in mostra a novembre 2024 a Palazzo Pirelli, a Milano; questa installazione è stata una performance artistica ispirata contemporaneamente alla Lombardia e alla tematica del green, nella quale i visitatori sono stati chiamati ed essere parte dell’opera d’arte.
Le persone hanno potuto fotografare sé stesse, mediante selfie o realizzando normali scatti fotografici e video, all’interno del logo della rosa camuna.
Questo simbolo ancestrale è una vera e propria icona, intrisa di storia e significato, emblema dell’identità lombarda, che rappresenta il territorio fin dall’età del ferro. Infatti, il simbolo è stato ritrovato ben 92 volte tra le 300.000 incisioni rupestri della Valcamonica.
Riproducendo sull’installazione a specchio il logo della Lombardia, mi sono concentrata anche sull’utilizzo di oggetti di plastica di riciclo di colore verde per richiamare la natura del territorio, la grande vegetazione del territorio e la sensibilità delle persone verso i temi ambientali.
La mostra e la stessa installazione interattiva, fin dal giorno stesso dell’allestimento (durante il quale già le persone si fermavano ad ammirare i quadri, mentre erano appoggiati in attesa di essere appesi), ha continuato a riscuotere molto successo ed è stata interpretata in modo creativo, dal momento che è stata definita “instagrammabile”.
La cultura Pop e figure iconiche sono al centro delle tue creazioni. Come scegli i soggetti delle tue opere e qual è il messaggio che speri arrivi agli spettatori?
Naturalmente i miei soggetti più “popolari” seguono i gusti e le preferenze del pubblico. È la base dell’arte Pop, ed è la stessa scelta che faceva Andy Warhol. Come disse anche Vittorio Sgarbi commentando una mia opera “L’argomento è pretestuoso (…) l’arte è forma, non è contenuto”, decretando così l’importanza della tecnica sul soggetto che genera.
Ciò che penso fin dall’inizio della mia carriera, è che qualunque soggetto può essere un mezzo ma il fine è sensibilizzare al riciclo e alla sostenibilità ambientale. Meglio ancora se il “mezzo” è popolare, universalmente “bello” e amato da più persone possibili; solo così sarà possibile far giungere questo importante messaggio alle masse.
Detto questo, sicuramente, rispetto all’inizio della mia carriera, trattandosi comunque di un intenso percorso iniziato 10 anni fa, sento l’esigenza di realizzare soggetti inediti e più impegnati, che abbiano quindi un valore sociale e soprattutto un “timbro” personale e riconoscibile, che possa quindi caratterizzarmi maggiormente come artista della mia epoca e che mi permetta di realizzare qualcosa di ancor più personale ispirato a tematiche attuali. Ciò che rimane costante, è la scelta di personaggi comunque già conosciuti e iconici.
È il caso della Barbie Tumefatta, realizzata per dire No alla Violenza sulle Donne. La Barbie è il simbolo della donna da più di 3 generazioni, nella quale bambine e donne si identificano come simbolo di perfezione. L’opera è costituita interamente da pezzi di Barbie rotte e ricomposte e altro materiale di recupero, e rappresenta il ritratto di una Barbie che riporta i segni della violenza, a significare che anche la bellezza più pura e incontaminata può essere rovinata da botte ed ematomi, e ogni violenza va denunciata. Nei dettagli, volti di Barbie per il viso (ritoccati a loro volta con segni di violenza) e teste di Barbie per i capelli, c’è anche il silenzio di tutte le donne che hanno subito violenza senza denunciarla.
Allo stesso modo, la pandemia Covid non poteva lasciarmi indifferente, quindi ho scelto di realizzare una serie di opere ispirate all’emergenza, che potevano anche dare un aiuto concreto nell’affrontarla, attraverso la vendita all’asta e la donazione diretta in beneficenza del ricavato.
Con l’opera intitolata “Corona Jesus”, ad esempio, ho voluto rappresentare il volto sofferente del Cristo che al posto della corona di spine porta la rappresentazione del Coronavirus (simile a quella vista al microscopio elettronico). Corona Jesus rappresenta il sacrificio del Dio che si fa uomo oggi, in ognuno di noi. Il Coronavirus è divenuto simbolo di espiazione dell’uomo. Ognuno di noi, nell’emergenza, ha compiuto un sacrificio: medici e infermieri in prima linea come soldati, sacrificando la loro salute e a volte la loro vita per altri uomini. Anziani, adulti e bambini di qualsiasi sesso, religione, e in tante parti del mondo, sono stati costretti a stare in casa e a non uscire per non contrarre e trasmettere il virus che a volte può̀ essere letale. Persone che, pur stando male, non hanno trovato posto negli ospedali già̀ al collasso. Uomini che hanno perso il lavoro. Lavoratori a casa senza guadagno. Ognuno di noi, ha espiato con il sacrificio, il male dell’umanità. Umanità che per anni ha rovinato il pianeta, con sostanze inquinanti nell’aria e tonnellate di plastica negli oceani. La stessa plastica che da anni raccolgo e suddivido per colore per poi creare le mie opere.
Sono stata poi molto felice e orgogliosa di aver potuto dare un contributo concreto attraverso la mia arte per aiutare gli ospedali durante l’emergenza. La mia opera battuta all’asta per gli ospedali Covid, “L’infermiera con l’orecchino di perla” (anche in questo caso ho scelto un personaggio iconico, la ragazza con il turbante di Vermeer) è divenuta inoltre copertina di un libro i cui i ricavi sono stati devoluti alla Protezione Civile; un piccolo “aiuto nell’aiuto”.
Hai esposto in diverse città del mondo, tra cui New York, Parigi e Miami. Qual è la tua esperienza nel portare l’arte sostenibile in contesti internazionali? Ci sono reazioni diverse rispetto all’Italia?
Ho scelto di usare un nome d’arte internazionale per avere uno pseudonimo più facile da ricordare rispetto a “Letizia Lanzarotti”. Infatti, ho iniziato nel 2011, a soli 21 anni, a partecipare con la mia arte ad esposizioni internazionali; ero molto giovane e non avevo fatto ancora nulla di importante in Italia. La mia prima esposizione è stata in una galleria a Parigi nel cuore del Marais, per poi esporre ad Amsterdam, a Bruxelles, e nel 2014 ho esposto a Malta, poi a New York (Manhattan) e a Parigi sulla torre Eiffel, una vera svolta per la mia arte, perché da quel momento anche in Italia ho cominciato a ricevere diversi contatti e opportunità di lavoro; grazie alle mie credenziali acquisite con le esposizioni estere ho avuto la chiave d’accesso a diverse realtà italiane. Da una parte sono stata felice del mio percorso, dall’altra è triste pensare che il talento debba sempre essere riconosciuto solo nel momento in cui viene riconosciuto all’estero, e chi vive e lavora in Italia abbia sempre una sorta di complesso di inferiorità rispetto ai colleghi che operano all’estero o a chi per qualsiasi motivo si trova a lavorare fuori dalla sua Patria.
L’arte sostenibile può avere un impatto significativo sulla mentalità collettiva. Come speri che le persone cambino atteggiamento verso il riciclo e la sostenibilità attraverso le tue opere?
Ciò che dico sempre ai miei incontri, soprattutto con i più piccoli, è che attraverso le mie opere non potrò certo salvare il mondo o gli oceani dall’inquinamento, ma sicuramente posso mandare un messaggio attraverso il mio piccolo contributo e sensibilizzare le persone su questo importante tema. Spero che questo possa incentivare le persone ad avere un approccio positivo e a credere fortemente che anche i piccoli gesti possono fare la differenza.
Come umanità, abbiamo ormai capito che il mondo, tra crisi ambientale, economica, e pandemica, non poteva certo andare avanti così. Sono certa che, a partire dagli organizzatori di grandi eventi, si capirà come ottimizzare le risorse, e oltre a porre attenzione a materiali e mezzi sostenibili dal punto di vista ecologico, si punterà a soluzioni che implichino una sostenibilità economica, senza dimenticare che “sostenibilità” significa anche “sostenersi a vicenda”. Quando senti termini come “svolta green” o “transazione ecologica”, io cerco di pensare a qualcosa di concreto. Spero lo facciano tutti.
Parlando dei tuoi prossimi eventi, come ti prepari per la partecipazione ad Artexpo New York e alla mostra al Green Plast di Milano nel 2025? Hai in programma nuove opere specificamente pensate per questi eventi?
Alla scorsa edizione del Plast, ho portato un paio di ali con le quali gli spettatori si sono potuti fare le foto e anche in questo caso diventare protagonisti dell’opera d’arte. Sicuramente anche per l’edizione Green del Plast e per l’esposizione a New York, entrambe nel 2025, penserò a un’opera/installazione interattiva, perché in contesti internazionali sono sicuramente le più apprezzate.
Inoltre, ho in programma altri eventi ancora in fase di calendarizzazione…sicuramente la mia prossima mostra personale si intitolerà “Ever-Green” – sempreverde. Questo titolo strizza l’occhio agli evergreen musicali, dato che spesso scelgo di rappresentare nei miei ritratti gli autori di canzoni evergreen che hanno fatto la storia, come Pete Townshend degli Who, autore di Behind Blue Eyes, ma anche Paul Mc Cartney, Madonna, Elvis Presley, ma anche personaggi storici ed icone di vari ambiti sempre in voga….e allo stesso tempo un modo per dire “sempre green” ovvero, qualsiasi mio evento o progetto nasce per incentivare al green, alla sostenibilità, all’ambiente…
I prossimi appuntamenti con Lady Be
Dal 2019 Mostra continuativa , 12 opere a tema musicale
MILANO MALPENSA Aeroporto Terminal 1
Dal 20 gennaio al 2 febbraio 2025
PADOVA Pl@st-Attack. Mostra personale
Cc Le Brentelle, in collaborazione con Plastic Free
Dal 3 al 6 aprile 2025
NEW YORK Artexpo New York – Pier 36 – Manhattan
Dal 27 al 30 maggio 2025
MILANO Rho Fiera – Mostra personale nell’ambito del Green Plast 2025
Strada Statale Sempione, 28, 20017 Rho (Milano)